Caraiti di Trakai

I caraiti di Trakai

La cittadina di Trakai si trova in Lituania, 28 km a ovest della capitale Vilnius e conta attualmente una popolazione di poco più di 6000 persone. Essa sorge in una fertile zona ricca di laghi, circa 200, risultato di un particolare fenomeno di trasformazione geologica.

Intorno a questi luoghi sono fiorite diverse leggende che fanno parte del folklore lituano, come quella del limpido lago Skaistis: una giovane e bella ragazza che abitava sulle sue sponde amava un prode guerriero che, chiamato dal granduca a combattere contro i cavalieri teutonici, non tornò più; per molti anni la ragazza pianse infinite lacrime, rendendo trasparenti le acque del lago.

L’entità statale della Lituania s’era già formata nel XIII secolo (convenzionalmente nel 1236 con il primo re Mindaugas) quando il granduca Gediminas fece costruire nel 1321 un castello a Trakai, luogo che egli scoprì durante una battuta di caccia come afferma un’altra leggenda, e vi trasferì la capitale del ducato da Kernavė, altro piccolo centro sul fiume Neris nelle vicinanze di Vilnius.

Fu con Gediminas che la carica di granduca della Lituania divenne ereditaria e la sua dinastia, da lui chiamata dei Gediminaičiai, mantenne il trono fino al 1440, espandendosi e inglobando altri centri importanti come Kaunas e Gardinas (l’attuale Grodno in Bielorussia) che costituirono i capisaldi della Lituania feudale i cui confini comprendevano terre abitate da popolazioni slave.

Quattro anni dopo la morte di Gediminas avvenuta nel 1341, i figli Algirdas e Kęstutis si divisero il reame dopo aver deposto il loro fratello minore Jaunutis. Al secondo toccò la parte prettamente lituana e Trakai rimase la sua residenza; nel 1375 la parte nuova di Trakai accolse la capitale perché circondata dai laghi e quindi ben proteggibile in tempi di frequenti scontri con i cavalieri dell’Ordine Teutonico.

Nel 1379 il duca Kęstutis, il figlio Vytautas e due nipoti, figli del fratello defunto Algirdas, cioè Lengvenis principe della Grande Novgorod, e Jogaila futuro granduca lituano e re polacco con il nome di Władysław II Jagellone, si incontrarono a Trakai per firmare un accordo con i capi germanici per regolare i diritti di caccia e commercio e l’insediamento sui rispettivi confini.

Siccome il vecchio castello di Trakai non era ben protetto, il duca Kęstutis scelse di costruirne un altro sulle sponde del lago Galvė, tra questo e il lago Bernardinės, in stile gotico.

Alcuni anni dopo aver assassinato Kęstutis (1382), Skirgaila, altro figlio di Algirdas e governatore in Lituania per conto di Jogaila, appiccò un incendio per distruggere Trakai nel 1391 ed evitare che se ne impadronissero i nemici. La pace conclusa tra Vytautas, erede di Kęstutis, e il cugino Jogaila portò alla restituzione al primo di tutte le terre sottrattegli e alla sua nomina di viceré del resto della Lituania nel 1392, e così lo stato lituano raggiunse il culmine della sua espansione.

Vytautas preferì Vilnius come propria capitale, ma ebbe sempre una speciale considerazione per Trakai, suo luogo di nascita; si convertì al cristianesimo ma infine tornò all’originario paganesimo.

Il suo castello fu il centro della vita politica del granducato e accoglieva numerosi visitatori stranieri, diplomatici e nobili d’altri paesi, rendendosi celebre nell’Europa del tardo Medio Evo.

Ona, ossia la duchessa Anna Svyatoslavna di Smolensk, seconda moglie di Vytautas, era anche una delle donne più in vista d’Europa, colta e dal portamento sofisticato.

Nel XV secolo Trakai divenne la residenza ufficiale dei granduchi lituani e in quello successivo ottenne i diritti della Carta di Magdeburgo, una serie di garanzie di autonomia così chiamate dalla città che per prima ottenne questo sistema di autogoverno cittadino che ebbe successo in Polonia, Russia e Germania nei secoli XIII e XIV.

A quel tempo Trakai era descritta come una città multiculturale, sufficientemente grande e i suoi abitanti avevano una mentalità relativamente aperta, come affermato nelle cronache di viaggio del diplomatico fiammingo Guillebert de Lannoy.

Ma successivamente, nel corso delle lotte contro i teutonici, Trakai aveva già perso il suo ruolo di capitale, pur rimanendo la residenza dei duchi e il centro economico del ducato. Intanto dei cambiamenti morfologici del territorio avevano portato all’assorbimento di alcuni stagni nel più grande lago Galvė e alla costruzione di un terzo castello.

Con il rafforzamento dell’autonomia e del potere militare, il processo di colonizzazione straniera ebbe definitivamente termine, anche se la lingua nazionale era facilmente messa in ombra dal russo, dal tedesco e dal polacco; infatti il primo libro stampato in lituano è solo del 1547 (Il catechismo in parole semplici di Martynas Mažvydas) e i rapporti ufficiali erano condotti in altre lingue, relegando il lituano a idioma popolare.

La nobiltà feudale lituana aveva preferito assumere gli usi e la lingua dei polacchi. La nazionalità lituana non fu messa in pericolo dall’unione (Rzeczpospolita) con la Polonia, sancita col trattato di Lublino del 1569 che assegnò a Cracovia il ruolo di centro della nuova entità politica; solo il re e l’assemblea del Sejm erano entità comuni a polacchi e lituani.

Al granducato di Lituania rimase il controllo del territorio, della moneta, dell’esercito, della giustizia; stavolta il re di Polonia era automaticamente anche granduca di Lituania. Da allora Trakai perse molta della sua importanza politica e il castello insulare fu trasformato in prigione per i nemici politici, tra cui degli inviati del duca di Mosca. La sua storia però è ancora strettamente connessa con quella dei caraiti, e la strada principale del paese è appunto Karaimų gatvė, via dei Caraiti.

Il termine caraita indica sia la fede religiosa che l’etnia e deriva dalle radicali semitiche q-r-’ che indicano il concetto di “lettura”, “leggere” e per estensione “leggere le scritture e aderire fedelmente ad esse” senza operare astratte derivazioni come hanno fatto i hassidim e molte altre sette ebraiche.

Così i caraiti si sono limitati al significato primario ed evidente del testo biblico, mentre i rabbini hanno quasi ovunque teso alla ricerca del significato nascosto del testo sacro, generando l’esegesi giudaica imperniata sui concetti di “allusione”, “intenzione”, “interpretazione”.

La vera origine etnica dei caraiti è sempre stata oggetto di accaniti dibattimenti, cui partecipò anche l’antropologo italiano Corrado Gini nel 1934. Egli, in piena epoca fascista e di rivalutazione della purezza razziale in molte nazioni europee, studiò i caraiti lituani e polacchi, ricavando la conclusione che erano un popolo ugrico, con percentuale di sangue turco-tartaro, e quindi assai distante dagli ebrei discendenti degli esuli della diaspora.

Secondo l’opinione prevalente, i caraiti sarebbero un’etnia di ascendenza turca, la più piccola minoranza dell’attuale repubblica indipendente di Lituania. È certo che i caraiti di Lituania sono discendenti dei caraiti della Crimea, ma non tutti i caraiti erano originari della Crimea, infatti esistevano anche comunità caraite in Levante e Anatolia che parlavano ebraico, arabo, aramaico.

I termini Karaim e Qarays indicano i crimeani, mentre con caraita si intende qualsiasi seguace di questa branca del giudaismo. Qaraylar è il corrispondente nella lingua tatara della Crimea, infatti –lar è il tipico suffisso turco per il plurale.

Il caraismo si è formato verso la metà del VII secolo in Babilonia, nell’odierno Iraq, nell’ambito del giudaismo orientale. Basato sulle sacre scritture della Bibbia e sul Decalogo di Mosè, esso rifiuta ogni aggiunta posteriore ritenuta non valida come guida morale.

Quindi il caraismo potrebbe essere inteso come religione strettamente mosaica, in quanto i suoi dogmi di base si fermano a quelli accettati dal giudaismo di epoca biblica. Ogni interpolazione successiva è considerata eresia e la Legge Orale è da rigettare, cioè tutto ciò che i dotti rabbini, i teologi e i pensatori giudaici hanno progressivamente aggiunto e tramandato sotto forma orale e poi scritta.

Era quindi un movimento di reazione alla crescente adesione degli ebrei alla Gemarah, l’insieme dei commentari alla Mishnah, divisa secondo la localizzazione delle scuole rabbiniche di analisi ed esegesi, in Talmud di Babilonia e Talmud di Gerusalemme.

L’ispirazione dei saggi rabbini stava caratterizzando in maniera crescente il giudaismo tradizionale ed è a questo fenomeno che si oppose Anan ben David, che nell’VIII secolo raccolse gli oppositori dei rabbini e anche chi si richiamava alla setta dei sadducei, scomparsa nel I secolo d.C.

In quell’epoca storica l’Oriente conobbe grandi sconvolgimenti politici e sociali, dovuti alla rapida espansione dell’islam e dell’arrivo delle armate arabe. Questa nuova religione si imponeva sulle altre, esistenti nella zona da secoli e, in molti casi, si amalgamava originando particolari sette specialmente in Persia, Babilonia e Siria.

Anche il giudaismo subì questo tipo di influenza, vedendo rinascere le dottrine dei vecchi scismi, come quelle degli esseni e dei sadducei e nuove dottrine, come quelle degli isawiti (seguaci di Abu Isa al-Isfahani, un mistico vissuto prima di Anan), degli yudghaniti, degli shadganiti, dei malachiti, dei mishawaiti, tutti assimilati successivamente nel giudaismo rabbinico.

Verso l’anno 760, l’esilarca ebreo in Babilonia Isaac Iskawi morì e due membri del suo clan, i fratelli Anan e Josiah (Hassan) erano i primi nell’ordine di successione alla carica. Josiah fu eletto esilarca dai Geonim, i rabbini babilonesi, e dai notabili della comunità ebraica locale.

La scelta fu confermata dal califfo di Baghdad, città fondata da poco, nel 762. Anan Ben David fu invece proclamato successore dai suoi seguaci; questo atto venne considerato di ribellione verso l’autorità del califfo. Gli ebrei erano sottoposti alla norma della dhimma, perché di religione sottomessa all’islam e tollerata in cambio dell’accettazione delle regole imposte dai governanti musulmani.

Ogni violazione alla dhimma era punita con la pena capitale. Così nel 767 Anan venne imprigionato e condannato a morte per alto tradimento verso il califfo. In cella, Anan conobbe Abu Hanifah, fondatore della setta islamica dei hanifiti.

L’ebreo allora ascoltò i consigli del compagno di prigionia per salvarsi dalla pena di morte: avrebbe dovuto asserire di seguire i precetti della Torah in un modo ambiguo e non tradizionale che giustificasse la nascita di una nuova setta religiosa, non sottoposta alle regole della dhimma.

Anan così dichiarò dinanzi al califfo al-Mansur che la sua fede era diversa da quella dei seguaci del rabbinismo e contrastava con essa. La difesa fu efficace e Anan fu scarcerato.

Si ritiene che la lotta per la carica di esilarca fosse la reale causa dello scisma tra caraiti e rabbaniti (seguaci del tradizionalismo rabbinico, originato dal fariseismo palestinese) anche perché Natonai, un pio rabbanita contemporaneo di Anan, e il sapiente caraita Ya’akov al-Qirqisani non menzionarono mai la pretesa ascendenza davidica di Anan.

Secondo la leggenda caraita, Anan morì in Terrasanta nell’811 e fu seppellito a Gerusalemme, sul monte Moriah.

La polemica dei caraiti portò a un rinnovato interesse per l’ebraico biblico e per il lavoro testuale dei masoreti che tramandava la Torah così come data dal Signore a Mosè sul Sinai.

La precettistica quindi è basata su una interpretazione rigorosamente letterale delle mitzwot (comandamenti), attenendosi esclusivamente alla loro formulazione biblica.

Anan Ben David è quasi sempre stato accettato come il fondatore spirituale del caraismo; in tempi posteriori alcuni saggi del movimento rifiutarono di credere che egli avesse ispirato la loro ideologia religiosa.

In ogni caso, Anan si dedicò alla formazione dei princìpi della setta, componendo in aramaico un libro dei precetti (Sefer ha-Mitzwot, del 770 circa), di cui rimangono pochi e frammentati brani. Molti riti furono ripresi dalle dottrine essene e sadducee che ancora sopravvivevano a Baghdad e i cui scritti religiosi erano in circolazione.

I caraiti così accettavano gli insegnamenti sulla trasmigrazione delle anime (la metempsicosi, come insegnata da Empedocle, dai pitagorici e dalla mistica indù), alcune pratiche ascetiche, come l’astensione dalla carne e dal vino in segno di lutto per la perdita del secondo tempio di Gerusalemme dove venivano appunto usati per le cerimonie.

Ogni proibizione impartita dalla kashrut era da seguire in modo rigoroso e non veniva ammessa la minima deviazione. Ad esempio, tutti gli ebrei in esilio dalla Palestina non avrebbero dovuto cibarsi di carne, con eccezione di quella di cervo, per il motivo che gli animali erano da usare per i sacrifici.

Questa imposizione fu concepita come purificazione spirituale ed ascetica, similmente agli isawiti. Anan e i suoi seguaci aggiunsero anche la proibizione di cibarsi di ogni volatile, con eccezione della colomba e del piccione e seguendo un elenco contenuto nella Torah.

Quanto alle locuste, solo quattro specie erano kasher; le uova di uccelli erano proibite perché considerate organismi viventi impossibili da macellare, ma non quelle dei pesci.

In ogni caso, il sangue era tabù e il compito della macellazione rituale non poteva essere affidato a chiunque conoscesse le norme della kashrut, ma a persone che in più offrissero garanzie di degna moralità. Il precetto di recidere l’esofago e la trachea fu da Anan completato con il taglio di vene e arterie.

Però fu considerato inutile il divieto di preparare cibi di carne assieme al latte e ai suoi derivati, perché questa norma alimentare era sconosciuta alla Torah ma introdotta applicando il Talmud.

Così il comando contenuto nel libro dell’Esodo “Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre” era da applicare letteralmente, evitando questa maniera di cucinare il capretto e non da estendere a ogni alimento di carne e latte: gli ebrei ultraortodossi hanno invece allargato il concetto, tramite le sofisticate argomentazioni talmudiche, fino a imporsi due stanze da cucina, con mobili e utensili separati per carne e latticini da non mischiare mai.

Quanto ai giorni di digiuno, Anan introdusse dei mutamenti nel calendario rituale: il settimo giorno di ogni mese era dedicato al digiuno, come anche il 14 e 15 di Adar al posto del 13 che così includevano il Purim; infine un digiuno di 70 giorni dal 13 Nisan al 23 Siwan, che includevano la Pasqua e la Pentecoste, sul modello del Ramadan islamico, durante il quale nessun cibo e nessuna bevanda erano permessi di giorno.

La cena pasquale veniva consumata in piedi, a ricordo della fretta con cui gli ebrei consumarono il loro ultimo pasto in Egitto, prima che Mosè li conducesse verso il mar Rosso e la Palestina.

La circoncisione dei neonati era da effettuare con le sole forbici, evitando i coltelli, l’officiante che avesse usato altri strumenti era passibile di morte; una qualsiasi imprecisione nel rituale rendeva nullo l’atto e la circoncisione era da ripetere.

Nel caso di un adulto o di un proselito, la circoncisione era permessa solo all’undicesimo giorno d’un qualsiasi mese. Infine la maggiore età religiosa era a 12 anni, quindi il bar mitzwah non andava effettuato ai 13 anni come per gli altri ebrei.

Il caraismo avversava le scienze e la medicina, perché solo Dio può guarire dalle malattie, essendo queste una sua creazione. Però i lebbrosi erano sempre impuri, anche se in una condizione voluta dal Signore.

Per quanto riguarda lo shabbat, ogni uscita di casa era proibita, se non per la preghiera o per stretta necessità, e per quella sera si dovevano spegnere tutte le luci, restando vietato trascorrere la festività con luci artificiali; le operazioni di cucina andavano terminate prima del tramonto del venerdì, e in modo tale che il cibo fosse pronto anche per dopo lo shabbat cosicché non si fosse impazienti che arrivasse la sua fine. Il pane era cotto solo sulla brace e non nel forno.

Ogni lavoro era severamente vietato, anche il semplice pulirsi le mani con la polvere, e non andava nemmeno affidato a un non ebreo. I rapporti sessuali erano visti come atti peccaminosi se compiuti nel giorno sacro.

Il giorno di Purim era consacrato non solo al digiuno (che durava anche 26/27 ore) ma anche alla più completa inattività e alle preghiere da recitare in sinagoga, in sostituzione degli antichi sacrifici offerti nel Tempio di Gerusalemme, vestendosi di bianco in segno di purezza.

Così Anan intendeva assicurare una netta differenziazione di costumi dai cristiani e dai musulmani, per salvare la diversità etnica. Questo sforzo era vanificato dall’accettazione di Gesù e Maometto come profeti, la quale rendeva possibile identificare il caraismo anche come setta islamica.

Sulla base del divieto imposto dal profeta Isaia, Anan avversò l’astronomia e la divinazione, rifiutando la tradizione rabbinica di determinare la data delle festività basandosi sul corso degli astri. Così l’anno nuovo doveva iniziare il decimo giorno del mese di Tishrì, anziché il primo, applicando un verso di Ezechiele.

Quanto alle donne, esse erano considerate inferiori agli uomini e pertanto di un’eventuale eredità esse ricevevano un terzo rispetto alla quota per un uomo. Anche qui è evidente qui l’influenza della shari’a islamica.

Tra gli avversari di Anan Ben David ci fu Daniel al-Kumisi, che visse tra la fine del IX secolo e l’inizio del X. Nacque a Damagan, nel Tabaristan persiano (tra i monti Elburz e il mar Caspio).

Daniel all’inizio apprezzava le idee di Anan, da lui definito rosh ha-maskilim (in ebraico “capo dei saggi”) ma successivamente lo disprezzò chiamandolo rosh ha-kesilim (“capo dei buffoni”).

Il motivo della discordia era l’idea di Anan che le leggi mosaiche potessero venir adattate alle condizioni sociali dei paesi della diaspora, mentre Daniel riteneva che l’interpretazione letterale della Bibbia era valida dovunque, anche al di fuori della Palestina.

Un tratto comune tra Daniel e Anan era la convinzione che la speculazione non potesse fungere da sorgente di conoscenza e che i testi originali biblici andassero interpretati letteralmente, senza compiere astrazioni allegoriche. Daniel scrisse numerosi testi di esegesi giudaica, in ebraico con glosse in arabo ma questi, salvo alcuni frammenti, sono andati tutti perduti.

La polemica tra i fondatori del caraismo fu aspra e continuò anche quando Daniel emigrò a Gerusalemme e vi fondò l’ordine degli “Ebrei in lutto per Sion”. Una delle principali innovazioni nel costume caraita introdotte da Daniel era l’automortificazione fisica di chi era in lutto.

Proprio a Gerusalemme esisté il primo tempio caraita, e Daniel invitò tutti i caraiti sparsi per l’Asia a immigrare in Palestina, vera patria degli ebrei, divenendo così, in questo aspetto, un proto-sionista.

Un altro importante personaggio alla base del caraismo fu Ya’akov ben Ephraim al-Qirqisani, dogmatico ed esegeta che visse intorno alla prima metà del X secolo, nativo della Circassia khazara, di cui l’appellativo Qirqisani. Viaggiò in Medio Oriente, s’acculturò nelle accademie islamiche e tradusse in arabo la Bibbia.

Verso il 937 redasse due trattati, sempre in arabo, sui precetti giudaici su cui la Torah tace o è ambigua: il manuale Kitab al-Anwar wal-Marakib (Libro delle Luci o dell’Illuminazione), e il commentario al-Riyad wal-Hada’iq (Libro dei Giardini e degli Orti); parte di questi trattati è ancora esistente e conservata alla Biblioteca Imperiale di san Pietroburgo, alcuni capitoli si trovano alla Bibliothèque Nationale di Parigi e al British Museum di Londra.

Il secondo è una ricca fonte di concetti religiosi e filosofici che sono alla base della fede caraita. Qirqisani formulò un elenco delle sette riconosciute, tra cui quella dei rabbaniti, dei samaritani e dei cristiani, che riteneva fossero rimasti una fazione ebraica.

Infatti non ammetteva che essi fossero seguaci d’una religione separata dal giudaismo, e che non avessero in realtà nulla a che vedere con gli insegnamenti di Gesù ma con le dottrine dell’apostolo Paolo sostenitore della divinità di Gesù e della sua capacità di farsi profeta di Dio.

Per di più i concili di Nicea (degli anni 325 e 787) avevano stabilito dei dogmi che non erano contemplati dai Vangeli, dagli Atti di Pietro e Paolo, e neanche dalla Legge di Mosè.

Qirqisani fu il primo caraita, di cui si abbia notizia, a credere nella validità dell’astrologia e delle scienze in generale; cosciente di questa contraddizione, egli si giustificava affermando che era propria del caraismo la caratteristica di non essere concordi su qualsiasi argomento, come anche sulla questione dell’incesto e del levirato, e sulla trasmigrazione dell’anima, che egli rigettava aspramente.

Intanto il caraismo prosperava a Gerusalemme, in particolare attorno all’accademia di Bakhtawi, situata fuori delle mura, i cui membri si riunivano nel cortile creato dagli edifici posseduti da Yosef ben Bakhtawi, intorno all’anno Mille.

Nel 1028 furono documentati dei piccoli nuclei di caraiti ad Attaleia e poi anche in altre città dell’Asia Minore, ossia Amasia, Nicomedia, Gangra e Trebisonda, giunti dalla Mesopotamia e dall’Egitto. Ma Costantinopoli, dal 1100 in poi, fu il maggiore centro della cultura religiosa caraita, sopravanzando in questo ruolo Baghdad, e vi erano 500 caraiti, come affermato dall’avventuroso viaggiatore Benyamin di Tudela. Essi erano in genere mercanti, tintori, artigiani, tessitori, e usavano l’arabo, lingua poi sostituita con il greco, o meglio con un idioma prettamente greco-caraita.

Nei secoli successivi, il caraismo si è sempre considerato differente dal giudaismo tradizionale, non accettando nemmeno di essere una setta dissidente ebraica ma una religione diversa che non ha subìto nessuna evoluzione posteriore al giudaismo più puro, quello praticato in Palestina e sul quale non hanno avuto influenza le vicissitudini storiche e culturali del gruppo ebraico, una volta che esso ha conosciuto il fenomeno della diaspora, la dispersione volontaria o forzosa al di fuori della patria biblica.

Alcuni studiosi però hanno rilevato come il senso di indipendenza religiosa dei caraiti si sia invece sviluppato dal XIX secolo in poi, considerando le differenze troppo evidenti con gli ebrei ashkenaziti e ancor di più con sefarditi, romanioti e altre categorie di ebrei.

Anche nella pratica religiosa i caraiti dei secoli successivi hanno conservato le abitudini dei loro saggi, che Abraham Firkovich e Sima Babovich, esponenti in vista dell’intellettualismo caraita del XIX secolo, ritenevano fossero immutabili e codificate per l’eternità.

Il tempio caraita si chiama kenessa, corruzione del termine ebraico keneset = assemblea, infatti in ebraico bet keneset indica la sinagoga e kenessiyah è la chiesa cristiana.

Oltre che a Trakai, le prime kenesse lituane sono state fondate a Vilnius, Biržai, Kėdainiai, Panevėžys. Oggi sono in funzione solo quelle di Trakai e Vilnius. L’officiante si definisce hazzan, esattamente come l’ebraico hazzan = cantore religioso. Il supervisore al rito è detto ullu hazzan, dal termine turco ulu = grande.

Sono caratteristiche le frange blu dello scialle rituale caraita, dal momento che essi credono che il termine ebraico tekhelet non indichi una tintura specifica, i tradizionalisti preferiscono invece il celeste. Non indossano i filatteri per la preghiera, in quanto il comandamento di avere sempre in mente la Torah è metaforico e quindi non occorre applicare sulla fronte e intorno al braccio i filatteri che contengono dei versi sacri.

Lo stesso concetto quindi rende inutile l’uso della mezuzah allo stipite della porta di casa. Il miqweh, ossia la vasca per le abluzioni rituali delle donne ebree in tempo di mestruo e degli utensili da cucina, non è in uso presso i caraiti.

Il cimitero caraita di Trakai viene attualmente utilizzato in comune anche dai tatari di fede musulmana, residenti nella stessa cittadina. Le iscrizioni sulle lapidi sono in maggior parte in ebraico, poi in polacco e russo, quasi a rimarcare la lontananza culturale dagli ebrei.

Conoscendo l’origine e lo sviluppo del caraismo, è facile capire perché la loro prima lingua fosse stato l’arabo. L’uso dell’arabo era quasi d’obbligo per garantire una certa diffusione ai propri trattati.

I primi teorici caraiti, come Anan ben David, scrissero in aramaico o, come Nahawandi e al-Kumisi, in ebraico e, in genere, traducevano in arabo le proprie opere. Invece chi si era trasferito a Istanbul, dove l’arabo non era d’uso, scriveva in ebraico.

In epoca moderna il caraita egiziano Murad Farag Lisha (1867-1956) pubblicò trenta titoli in arabo e, sempre al Cairo, furono edite le riviste in arabo al-Tadhib (1901-1904), al-Irshad (1908-1909), al-Ittihad (1924-1930) e al-Kalim (1945-1957).

La lingua tradizionale dei caraiti discendenti delle comunità crimeane è di ceppo turco, del gruppo kipchak occidentale, ed è vicina alle lingue Karachai-Balkhar, Kumyk e quelle tatare della Crimea ed è ancora in uso in Lituania, sia nel quotidiano che nei riti religiosi.

Il lessico della lingua caraita è stato influenzato da altre lingue non parenti, quali ebraico, arabo e persiano (farsi). Invece, nei secoli successivi al medioevo, la parlata caraita ha subito, per motivi geografici e storici, l’influenza delle lingue slave, principalmente il polacco, ma anche russo e ucraino.

Molto minore è stata l’influenza del lituano, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. L’ebraico biblico è rimasto in uso a scopi strettamente rituali, specialmente all’inizio della vita in Lituania, ma in seguito vennero approntati dei manuali di preghiera in dialetto karaimsk, cui si aggiunsero inni, poesie, odi di commiato per ricordare i capi defunti.

Invece nella Crimea sotto l’occupazione ottomana, i caraiti furono indotti ad adottare il turco nei loro commerci e nei loro rapporti con il governo locale e centrale.

Nel XIX secolo le piccole comunità caraite europee cercarono di essere al passo con il rinnovamento culturale del romanticismo europeo e della Haskalah (l’Illuminismo ebraico) e adottarono come propria lingua il tedesco, il polacco, il russo.

Più avanti, nel 1911, fu fondata da studenti caraiti a Mosca la rivista culturale in russo Karaimskaya Žizn e a Vienna la Karaimskoye Slovo, su cui apparivano articoli e saggi su argomenti non religiosi, ballate, favole e satire anche in polacco.

Al giorno d’oggi si possono distinguere tre varianti del karaimsk: il dialetto di Trakai, in uso anche a Vilnius, il dialetto di Lutsk / Halych (due città oggi in Ucraina ma storicamente polacche col nome di Łucz e Halicz) in uso almeno fino alla seconda guerra mondiale, e la variante crimeana, molto più diffusa dato il maggior numero di caraiti in quella penisola.

Quando il centro dei caraiti mosse da Baghdad a Gerusalemme, la loro fede iniziò a diffondersi in altri paesi. Alcune tribù turche delle steppe di Crimea e delle sponde del Volga si convertirono al caraismo nell’XI secolo.

C’è attinenza con la stirpe dei khazari, popolo del Volga che si era convertita anch’essa al giudaismo due secoli prima. La religione adottata e gli usi in comune unirono queste tribù differenti e sopravvivono nei caraiti lituani. C’è anche l’opinione di alcuni studiosi secondo cui questi gruppi furono influenzati dalla presenza di ebrei immigrati dalle città ellenistiche dell’Asia Minore nella penisola di Crimea.

Vytautas, granduca lituano, strinse un’alleanza militare con il tataro Tokhtamysh, khan dell’Orda d’Oro nel 1395 e in cambio ottenne dei territori ma in seguito intraprese una guerra in Crimea e catturò intere famiglie di caraiti, 383 nuclei che verso il 1397-1398 trasferì nella sua Trakai.

Già al tempo di Vytautas essi si stabilirono intorno al cosiddetto ponte dei Cigni che oltrepassava un ruscello tra i laghi Galvė e Totoriškės. Più tardi, i caraiti edificarono le loro case anche nel centro della città occupando i terreni da cui la nobiltà impoverita s’era dovuta ritirare.

Essi giunsero anche in altri centri della nazione baltica come Panevėžys, Biržai, Pasvalys, Upytė e Naujamiestis.

A Trakai i caraiti operavano soprattutto come guardiani dei castelli, presidiavano l’isoletta di Atkočiškės, coltivavano la terra, allevavano cavalli e si dedicavano alla manifattura di utensili d’artigianato e d’uso casalingo.

Esisteva una marcata differenza, all’interno della loro comunità, tra due distinte classi, di guerrieri da una parte e di mercanti e osti dall’altra, tra cui non mancavano interpreti.

Assieme ai caraiti, giunsero dei gruppi di tatari, sempre al seguito di Vytautas di ritorno dalle sue campagne militari in Crimea. La carta dei diritti concessi da Vytautas nel 1388 alla città di Lutsk garantiva ai caraiti lo status di uomini liberi, la libera pratica religiosa e la possibilità di commercio e amministrazione giudiziaria autonomi.

Unico obbligo era quello di pagare le tasse, ossia di devolvere parte degli introiti all’erario ducale, analoghi a quelli esatti dalle altre città che avevano sottoscritto la Carta di Magdeburgo.

I nobili e i cavalieri residenti nella zona spesso gestivano distillerie e birrerie, spingendo i contadini all’acquisto dei loro prodotti alcolici, erigendo anche centinaia di osterie nella città.

La grande maggioranza delle osterie era gestita dagli ebrei, che fungevano così da anello di congiunzione nella catena economica tra nobiltà e contadini. Sembra che a volte esistesse l’obbligo di acquistare una quantità minima di prodotti dalle aziende dei nobili per garantire un introito sicuro.

Era quindi una sorta di tassa imposta sui villici. Si rivelò falsa l’accusa rivolta a quei tempi contro gli ebrei, ritenuti responsabili di spingere i contadini ad ubriacarsi e tralasciare il loro lavoro e la famiglia.

I diritti concessi ai caraiti di Trakai, di cui erano la metà della popolazione, furono estesi a tutte le comunità caraite sparse per il granducato. Così il granduca Vytautas fu da essi chiamato il “Giusto”. Nel 1441 la comunità caraita di Trakai, forte di 2000 membri, iniziò a regolare i propri rapporti esterni seguendo la legge sull’autogoverno municipale, la Carta di Magdeburgo.

Casimiro Jagellone, divenuto l’anno precedente granduca di Lituania e re di Polonia, si fece garante della libertà d’amministrazione concessa ai caraiti. Così essi dipendevano soltanto dal vaitas, nuova figura di governatore della comunità, detentore del potere giudiziario e amministrativo che rispondeva direttamente al granduca.

Invece con il successore Alessandro Jagellone, i caraiti e i rabbaniti furono espulsi nel 1495 e riammessi otto anni dopo dal subentrante Sigismondo I il Vecchio; nel breve periodo di esilio essi furono ospitati in Polonia dal re Giovanni Alberto, fratello dello stesso granduca lituano che non li aveva voluti nel proprio dominio.

I successivi dominatori, cui i caraiti erano sottomessi, garantirono il perdurare della loro condizione di libertà fino al XVII secolo e non schiacciarono mai la volontà di preservare la fede e la peculiare lingua, riconoscendo loro il diritto di non ammettere innovazioni testuali nella religione ma solo il vecchio testamento, come fece Sigismondo Augusto II che nel 1548 divenne re polacco e granduca lituano.

I mercanti caraiti potevano spostarsi e vendere le merci nei mercati di Gniezno, Amburgo, Lipsia, Praga, Norimberga e Francoforte. I princìpi di convivenza con i caraiti erano già stati riconosciuti validi dallo statuto lituano del 1529, infatti nessun voivoda o governatore locale della zona di Trakai poterono applicare le proprie leggi sui caraiti e non si intromisero nei loro ordinamenti interni.

Nel caso in cui sorgesse una controversia giudiziaria tra un caraita e un cristiano, veniva formata allora una corte composta dal vaitas e dal voivoda. Questa facoltà fu confermata nel 1646 dal re polacco Władisław IV della dinastia Vasa, che era al contempo granduca lituano.

Di tanto in tanto si tenevano concili (come nel 1533) tra le varie comunità caraite, sulle quali dominava ovviamente quella di Trakai, e tra esse e le comunità rabbanite, come quello convocato nel 1586 a Grodno.

Siccome gli ebrei, sul finire del Medio Evo, iniziarono a popolare la Lituania, la Polonia, la Podolia ucraina, la Galizia e molte altre zone dell’Europa orientale, i caraiti si trovarono sommersi da un soverchiante numero di ebrei, il cui giudaismo era “contaminato” dalle tante dottrine posteriori a quelle di Mosè.

Però era necessario convivere con loro, tentativo difficile perché gli ebrei tendevano a formare chiuse comunità nei villaggi detti shtetlakh e a parlare un proprio dialetto franco di matrice germanica, lo yiddish.

Lo stanziamento e l’aumento numerico degli ebrei in quell’area fu incoraggiato nel 1388 dal patto di Brest-Litovsk con cui Vytautas garantì che essi sarebbero rimasti individui liberi e mai servi della gleba e che, come i nobili, sarebbero stati soggetti al solo granduca in cambio della sua protezione e dell’illimitata libertà di commercio e movimento, di religione e di usare la propria lingua; fu severamente proibita la persecuzione degli ebrei con false accuse.

Così, data la favorevole situazione di tolleranza in Lituania, gli ebrei costruirono una sinagoga a Vilnius nel 1573, espandendosi nella città e rendendo evidentissima la loro presenza nell’urbanistica cittadina e in quella delle altre città dove s’erano stabiliti, come Ukmergė, Valkininkai, Švekšna, Jurbarkas, formando folte comunità autoctone, con le quali i caraiti erano costretti a cercare un modus vivendi.

Alcune famiglie di rabbaniti, altra setta religiosa di matrice giudaica, si stabilirono a Trakai nel 1625 e iniziarono a far concorrenza ai caraiti nel commercio. Preoccupati, questi ultimi si rivolsero al re Władisław IV e ottennero un bando di espulsione ai danni dei rabbaniti che dovettero abbandonare Trakai nel 1646 e lasciare campo libero nelle attività commerciali.

Nel 1655/6 una serie di guerre tra Polonia e Russia causò l’assedio e l’incendio di alcune città, tra cui Trakai, dove i caraiti diminuirono sensibilmente, trasferendosi verso altre città della Lituania e perdendo potere economico.

Essi avevano già risentito delle conseguenze della rivolta del condottiero cosacco Bogdan Chmelnitskij del 1648/9, pur in misura minore rispetto agli ebrei russi, polacchi e ucraini.

Per questo motivo i caraiti non sentirono la necessità di integrarsi e adottare la lingua della nazione dominante per sfuggire alle persecuzioni.

Nel 1680 a Trakai rimanevano solo 30 nuclei familiari: la loro economia fu pesantemente colpita da fame e carestie seguite alle guerre con lo svedese Carlo XII; i pochi rimasti non poterono quindi frenare l’arrivo di alcune famiglie di rabbaniti, le quali si insediarono stabilmente: nel 1765 sono documentati 300 caraiti e 150 rabbaniti che convissero sempre in modo ostile, ma i caraiti non riuscirono più a impedire l’aumento della presenza rabbanita.

Intanto la sfera culturale dei caraiti si alimentava mediante l’opera di alcuni intellettuali che si recavano a studiare a Istanbul, centro della cultura turcofona.

Già dal XV secolo alcuni studenti caraiti s’erano recati nella capitale ottomana per studiare con il dotto Eliyah Bashyazi e, attraverso le traduzioni ebraiche bizantine, i caraiti poterono raggiungere la loro epoca d’oro.

Accettarono anche molte innovazioni introdotte dai seguaci di Bashyazi, come l’accensione delle candele, l’inizio del ciclo annuale della lettura della Torah nel mese autunnale ebraico di Tishrì invece che in quello primaverile di Nisan, la compilazione di particolari tavole astronomiche.

Nelle comunità lituane, inoltre, venne introdotta la proibizione di maneggiare le salme dei defunti e di aiutare nelle operazioni di sepoltura, allo scopo di evitare i rischi di contagio di eventuali malattie.

Quindi Bashyazi ebbe influenza sullo sviluppo delle dottrine caraite. Egli, nato ad Adrianopoli (l’odierna Edirne turca) nel 1420 e morto nel 1490, fu capo spirituale dei caraiti della sua città.

La sua principale preoccupazione fu quella di assicurare un futuro per la fede caraita, chiedendo ai giovani delle varie comunità di recarsi a Istanbul per studiare con le autorità religiose e fortificare così la loro conoscenza dei dogmi del caraismo.

Il suo codice Aderet Eliyahu (“Il Manto del profeta Elia”) è una serie di princìpi e decisioni esegetiche che egli aveva ricavato dalle riflessioni su molti testi di filosofi dell’ebraismo tradizionale, come Sa’adia Gaon, Maimonide e Abraham ibn Ezra. Gli argomenti affrontati, nello specifico, erano il matrimonio, la purezza femminile, la macellazione, le festività, i giuramenti.

Alcuni dei maggiori intellettuali caraiti furono Isaac ben Abraham (detto Troki o Trakietis, eponimo dal nome della città di origine, Trakai, 1533?- 1594?), il suo allievo Joseph ben Mordecai Malinovski, Zerah ben Nathan di Trakai (1576-1620), Ezra ben Nisan medico della famiglia nobile dei Radvilos (morto nel 1666), Josiah ben Judah (morto dopo il 1658) e Salomon ben Aharon di Trakai, vissuto nel XVII secolo.

Più tardi vissero il medico e matematico Jan Casimir e il medico J. Zubickis. Essi furono influenzati dalle dottrine dei rabbaniti che, dal tardo XVI secolo, si stabilirono negli stessi centri urbani.

Isaac Troki scrisse il trattato Hizzuq Emunah (in ebraico “Rafforzamento della Fede”, il cui testo inglese è disponibile su http://faithstrengthened.org), poi tradotto in latino con il titolo di Tela ignea Satanae (“I fieri dardi di Satana”). Si tratta di una serie di osservazioni su numerosi episodi biblici e della vita di Gesù, reinterpretati in chiave polemica.

Il 1793 vide l’incorporazione della Lituania nell’impero russo di Caterina la Grande. I caraiti lituani poterono così condividere la condizione politica e amministrativa delle altre comunità caraite inglobate nell’impero e nel XIX secolo costituirono un movimento nazionale caraita, trasferendosi quasi sempre nelle grandi città, come Vilnius e San Pietroburgo, abbandonando i centri minori come Biržai e Nowe Miasto.

Ma Trakai rimase sempre il centro spirituale e culturale dell’etnia caraita, pur se nella città era presente un’esigua percentuale dell’intero caraismo esistente nell’impero zarista. Ormai a Trakai i caraiti non erano più arruolati di diritto come guerrieri e difensori della città: la principale attività era diventata la coltivazione della zucca.

Il governo russo riconobbe i caraiti come gruppo etnico turco e non ebraico; questa differenziazione ebbe una importante conseguenza sul piano sociale e pratico, vista l’avversione del cristianesimo ortodosso verso gli ebrei, ritenuti eterni responsabili della messa a morte di Gesù.

I caraiti, di ascendenza turca, erano quindi esenti da qualsiasi trattamento discriminante che colpiva gli ebrei e addirittura considerati giuridicamente eguali ai tatari della Crimea.

La comunità krymchak, dal background etno-linguistico affine ai caraiti ma praticante il giudaismo nella forma rabbinica, invece risentì della legislazione antigiudaica esistente sotto gli zar. Nello stesso periodo la Crimea entrò a far parte dell’impero russo e la città di Eupatoria divenne il maggiore centro del caraismo.

La figura del hakhan (dall’ebraico hakham = saggio), istituita intorno al 1869, era il capo spirituale e la guida etica della comunità avente funzione di garantire la saldezza dei princìpi morali su cui si fondava l’indipendenza della gerarchia religiosa caraita, senza correre il pericolo che essa fosse assorbita dalla società cristiana dominante o dalla consistente comunità ebraica di Vilnius.

Il hakhan di Trakai fu nominato capo spirituale di tutti i caraiti dell’impero russo, compresa la Polonia, ma con eccezione della Crimea. Ma a Trakai ormai il loro numero era in costante calo: nel 1879 ne vennero censiti 600 e nel 1897 appena 377, contro 1112 rabbaniti. I caraiti preferivano altre città, dove aumentavano, al punto che nel 1890 fu aperto un cimitero caraita a Varsavia.

Abraham Firkovich (1786-1874) nacque a Lutsk ma si trasferì in Lituania e infine in Crimea, nella cittadina di Çufut Qale (in tataro = Fortezza degli Ebrei). Divenne prima hazzan della città nativa e poi hakhan dei qarays, i caraiti crimeani, e venne soprannominato Abenreshef (acronimo ebraico di Abraham ben Rabbi Shemuel Firkovich).

Nel 1830 compì una visita a Gerusalemme, accompagnato da Simcha Babovich, e ne rimase molto colpito convincendosi ancor più della spiritualità del giudaismo, che invece la maggioranza degli ebrei aveva dimenticato preferendo concentrarsi su rituali meccanici.

Dai suoi viaggi in Caucaso, Egitto e Daghestan riportò numerosi documenti trovati nei ripostigli delle sinagoghe locali dove giacevano da secoli dimenticati, come ad esempio in una sinagoga del Cairo, nel 1863, trenta anni prima della ben più sensazionale visita dello studioso Solomon Schechter che scoprì un immenso tesoro di manoscritti risalenti all’epoca d’oro dell’ebraismo spagnolo.

Al ritorno, Firkovich conobbe a Odessa, grande città prossima alla Crimea, Simcha Pinsker e Bezalel Stern, due dei primi sionisti russi. La sua maggiore preoccupazione era quella di dimostrare che i caraiti erano etnicamente discendenti non degli ebrei di Palestina ma dei khazari, stirpe asiatica turcofona convertita all’ebraismo tra i secoli VIII e IX e scomparsa a seguito di invasioni e deportazioni.

Firkovich probabilmente desiderava degiudaizzare i caraiti per favorire l’assimilazione nel mondo slavo, ma fu accusato di aver contraffatto dei documenti allo scopo di provare le sue affermazioni sull’origine khazara.

È più verosimile l’ipotesi che egli intendesse provare allo zar che i caraiti non erano corresponsabili dell’uccisione di Gesù perché non discendenti degli ebrei palestinesi; questa inveterata accusa era alla base dei provvedimenti antigiudaici tipici della tradizione politica russa.

Altrettanto ipoteticamente, Firkovich fu influenzato da missionari cattolici che tentavano di convertire i caraiti al cristianesimo, senza successo. In ogni caso non si riuscì a impedire delle unioni matrimoniali tra caraiti ed ebrei rabbinici.

Anche Simcha Babovich (1790-1855) fu hakhan in Crimea e riuscì ad avere migliori rapporti con il governo zarista per ottenere l’esenzione dal servizio militare per i suoi fedeli caraiti, i quali erano così differenziati dagli ebrei che continuavano a prestare il servizio.

L’amministrazione russa pose Babovich a capo della diocesi caraita di Feodosija (sempre in Crimea), dal momento che al caraismo era stato riconosciuto lo status di fede separata, alla pari con l’islam e molto prima di quanto concesso agli ebrei tradizionali.

Il caraita Adolf Abramovič Joffe, nato a Simferopoli in Crimea nel 1883, partecipò attivamente al movimento rivoluzionario bolscevico e fu anche diplomatico sovietico, finché si suicidò nel 1927 a Mosca.

Scoppiata la Grande Guerra, il territorio lituano e polacco orientale era investito dai combattimenti tra russi e tedeschi come a Tannenberg e ai laghi Masuri, e il comando tedesco decise di deportare i caraiti in Crimea nel 1918.

Questi tornarono a casa, una volta sconfitta la Germania quello stesso anno; erano circa 300 a Trakai e 250 a Vilnius, tutti soggetti alla Polonia.

I loro correligionari di Panevėžys, un centinaio, invece erano nel territorio della repubblica indipendente di Lituania costituita nel 1918 e in seguito inglobata nell’Unione Sovietica.

Nel 1927 fu eletto hakhan con giurisdizione sulle comunità caraite lituane e polacche lo studioso Khaji Seraya Khan Shapshal (1873-1961). Egli era nativo di Çufut Qale e fu dapprima tutore personale del principe ereditario iraniano Mohammad Ali Scià divenendo persino ministro del governo persiano nel 1907; fu allontanato dal paese con il sospetto d’essere una spia dei russi e risiedette a Istanbul dal 1919 al 1927, studiando materie orientali finché giunse a Vilnius.

Siccome viaggiava spesso nei paesi del Medio Oriente, portava numerosi reperti etnografici dalle comunità caraite di quelle zone e li espose nel proprio appartamento di Vilnius fino al 1951.

Oggi questo materiale è sparso tra i due musei di Trakai, etnografico e storico. La controversa figura di Shapshal è oggetto di discussioni, e molti ebrei esprimono sentimenti di avversione nei suoi confronti; durante la seconda guerra, Shapshal, per evitare che i nazisti deportassero i caraiti confondendoli con gli ebrei ashkenaziti vero oggetto della persecuzione antisemita, fornì al comando militare tedesco l’elenco dei membri della sua comunità.

Così si smascherava ogni ebreo che avesse falsi documenti di appartenenza alla setta, condannandolo alla deportazione nei campi di concentramento.

Per Trakai il periodo bellico fu tumultuoso: la città cadde in mano sovietica nel 1940 e l’anno seguente in quella dei nazisti. Ma questi ultimi non sterminarono i caraiti, in base a un accordo.

Infatti i caraiti residenti a Berlino avevano già chiesto di non essere inclusi nella giurisdizione antiebraica emanata a Norimberga e tendente a separare gli ebrei dagli altri tedeschi. Grazie all’intervento del sindaco di Eupatoria, Serge von Douvan, recatosi appositamente in Germania nel 1938, l’Agenzia per la Famiglia stabilì che i caraiti non erano da considerare ebrei.

Un documento del Reichsstelle für Sippenforschung (Dipartimento per le relazioni razziali) chiarì la posizione ufficiale, riferendosi al regolamento sulla cittadinanza del Reich. Si aggiunse che i caraiti non erano nemmeno classificabili razzialmente come gruppo unico: questa operazione non era possibile senza prendere in considerazione l’ascendenza dell’individuo e le caratteristiche biologiche.

Allo stesso tempo i nazisti nutrivano dubbi sull’atteggiamento da tenere verso i caraiti. L’Obergruppenführer delle SS Gottlob Berger scrisse nel novembre 1944 che la religione mosaica dei caraiti era vista con sospetto ma tuttavia, a causa di princìpi di razza, lingua e religione, la persecuzione contro di essi non era concepibile. Il riferimento alla parentela con i tatari della Crimea è evidente.

Quindi si suggeriva di non spezzare l’unità degli intenti antigiudaici presenti nelle nazioni dominate dalla Germania, e di considerare l’etnia caraita come un gruppo dall’esistenza nettamente separata, dando loro l’opportunità, ad esempio, di costituire un battaglione militare.

Ma la confusione di quegli anni di guerra globale portò a massacri di caraiti, ad opera di soldati nazisti che si trovavano a combattere in Russia nella fase iniziale dell’Operazione Barbarossa: nell’incertezza sul reale status dei caraiti, 200 di essi vennero trascinati nella foresta di Babi Yar, presso Kiev, e fucilati assieme ad altre 33731 persone, in maggioranza ebrei e zingari (29-30 settembre 1941).

Inoltre, il governo fantoccio di Vichy registrò come ebrei i 270 caraiti, allora presenti in Francia. In seguito a precisazioni giunte dalla Germania, da cui il maresciallo Pétain dipendeva a tutti gli effetti, i caraiti furono riclassificati come non ebrei.

Alla differenziazione giuridico-legale dei caraiti dagli ebrei contribuirono dei rabbini crimeani e ashkenaziti i quali, interpellati e incaricati di dare la loro interpretazione, sancirono che i caraiti non erano ebrei. Così i caraiti evitarono quasi tutti la sorte dei rabbaniti, i quali invece erano una setta dissidente inserita nel giudaismo.

Purtroppo sembra che a Lutsk i caraiti collaborassero con i nazisti nelle attività antisemite. Da una parte è provato che alcuni caraiti nascosero degli ebrei nelle proprie case, rischiando la vita in occasione di più attenti controlli durante i rastrellamenti delle truppe tedesche, e che altri testimoniarono che degli ebrei erano invece membri della comunità caraita.

Dall’altra però molti caraiti si arruolarono in unità ausiliarie che combattevano a fianco dei nazisti, la Osttürkischer Waffenverband composta da volontari della Crimea tatara e di altre popolazioni di origine turca.

Il segretario di stato Gerhard Klopfer, in pratica un consigliere situato nell’alta gerarchia del partito, stimò in 500-600 i caraiti crimeani presenti nella Wehrmacht, nelle Waffen SS e nella Legione Tatara.

Lo stesso Klopfer ideò un programma di schedatura di tutti i caraiti, in attesa che il loro status razziale venisse definitivamente chiarito. Questo elenco sarebbe servito a deportarli, nel caso fossero stati riclassificati come ebrei.

Nel 1944 delle truppe polacche e delle brigate di partigiani sovietici ripresero il controllo della regione di Trakai.

Alla fine della guerra, i caraiti lituani diminuivano sempre di più, a causa dell’assimilazione nel più vasto gruppo ebraico ashkenazita (di cui avevano scelto di condividere le sorti) oppure con altre etnie, o ancora a causa dell’emigrazione.

Nuclei ristretti ne vennero censiti in Ucraina, Israele, Turchia, Stati Uniti, Russia, Bielorussia e Polonia.

Nell’originaria Crimea dovevano essere rimasti in numero apprezzabile se, dopo la riconquista sovietica della penisola nel 1944, si contarono 6357 caraiti che non furono sottoposti alla deportazione di massa come i tatari, i greci, gli armeni, e ogni altra etnia accusata di collaborazionismo con i tedeschi.

Nonostante ciò, alcuni caraiti furono trasferiti altrove: i sovietici ne portarono a Trakai alcuni provenienti dalla Crimea. Il censimento del 1959 mostrò un ammontare di 5700 caraiti lì presenti ma la cifra è da prendere con cautela: appena il 16,5% di queste persone era turcofono, quindi non si sa con quale criterio e parametri fosse stato operato tale censimento.

Anche Rodion Malinovskij, generale dell’Armata Rossa (Odessa 1898 – Mosca 1967), era di origine caraita. Egli nacque in Ucraina da genitori caraiti ma fu abbandonato prima dal padre e poi dal contadino ucraino cristiano che la madre aveva successivamente sposato.

Probabilmente per questo motivo, il generale Malinovskij rifiutò d’avere rapporti con il caraismo d’origine. Egli ebbe un ruolo di rilievo nella vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado e contribuì al rafforzamento di quella potenza militare che era diventata l’URSS, in qualità di ministro della difesa e amico personale del presidente Khruščëv.

Nel 1970 vennero censiti 4571 caraiti nell’URSS, ma non è dato sapere se nel totale fossero inclusi i lituani e gli ucraini (la Crimea è parte dell’Ucraina, sia come repubblica sovietica che come stato indipendente). Quindi la confusione rende difficile delle stime certe.

La kenessa di Trakai fu confiscata e chiusa dai funzionari del regime sovietico; con il processo d’apertura, la perestrojka, di Mikhail Gorbačëv, il tempio fu loro riconsegnato e la comunità culturale è stata istituita ufficialmente nel 1988. Il castello di Vytautas è stato fatto oggetto di restauri sin dal 1929 e, con nuovo impulso, dal 1956. Nel 1987 esso ha raggiunto lo stato attuale.

L’aspetto abbandonato d’allora venne immortalato in un’opera del più famoso poeta lituano Maironis (1862-1932), il primo ad aver utilizzato un modello romantico che è alla base della moderna poetica lituana.

La comunità caraita non è mai stata numerosa, ma oggi i suoi membri sono ancora più ridotti numericamente. Oggi 12000 caraiti vivono in Israele, esuli da un Egitto in preda al nazionalismo nasseriano ostile agli ebrei, visti come longa manus dello stato di Israele con cui il paese arabo era in guerra.

Essi si stanno inevitabilmente assimilando nella società ebraica della nuova patria, affrontando numerose incomprensioni e critiche per via del loro presunto camaleontismo, e sono concentrati nella città di Ramleh dove Nehemia Gordon e Meir Rekhavi hanno fondato il movimento mondiale caraita nei primi anni ‘90.

Altri 2000 sono negli Stati Uniti (in genere a Daly City in California) e circa 300 a Istanbul (intorno alla loro unica sinagoga in terra turca, la Qahal ha-Qadosh be-Sukra bne Miqra nel quartiere europeo di Hasköy, mentre sono scomparsi dal quartiere di Karaköy dove una volta erano numerosi).

Il loro centro culturale rimane comunque Trakai, dove sorgono due piccoli musei, e nel 1991 lo storico egiziano Murad el-Kodsi ha contato 150 caraiti a Vilnius, 50 a Panevėžys e 80 a Trakai.

L’istituto nazionale lituano di Statistica ha organizzato una indagine etno-statistica sui caraiti nel 1997, includendo anche le famiglie miste dove anche uno solo dei membri si identificasse come caraita.

Così è risultato che in quell’anno c’erano 257 caraiti nel paese baltico, di cui 32 erano bambini minori di 16 anni.

Oggi molti di essi sono impegnati nella salvaguardia della memoria storica e sono orgogliosi della kenessa e dei due piccoli musei oggi aperti e visitabili, a vantaggio dei numerosi turisti che si recano in visita a Trakai, approfittando della facilità dei collegamenti con la vicina Vilnius.

I caraiti, oltre che cittadini a parità di diritti con gli altri lituani, sono adesso anche cittadini comunitari, a seguito dell’ingresso della Lituania nell’Unione Europea, avvenuto il 1° maggio 2004.

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